Perché è giusto che Reuters elimini i file Raw

L’agenzia scrive ai collaboratori affinchè mandino solo jpg. Alcuni fotografi hanno urlato allo scandalo, ma la richiesta è semplicemente che vengano inviate fotografie più vere e meno fighe

di Milo Sciaky

Il mondo della fotografia, in questi giorni, ha seguito con particolare attenzione la decisione dell’agenzia Reuters di chiedere ai propri fotografi freelance l’invio delle immagini esclusivamente in formato jpg. Un jpg che non fosse stato processato da un file Raw.

Come noto, quest’ultimo, contrappone all’inconveniente del maggior peso, e quindi alla più elevata lentezza di trasmissione a livello di dati, la possibilità di apportare una più ampia gamma di modifiche in fase di postproduzione con una perdita minima di qualità.

In questo caso non ci troviamo ad affrontare, una volta ancora, l’eterno dibattito che vede sul banco degli imputati i vari software di fotoritocco, Photoshop sopra tutti, nel tentativo di stabilire se sia giusto o sbagliato aumentare il seno di un’attrice per la copertina di un settimanale patinato o se allungare le gambe della modella nella pubblicità di un marchio.

Qui ci troviamo davanti alla reazione ragionata di una delle più grosse agenzie di stampa internazionali verso i nuovi scenari informativi della società così come si è evoluta, in cui è diventato più comune informarsi cliccando su link postati attraverso i social media dal nostro vecchio amico del liceo piuttosto che tramite i canali giornalistici accreditati.

Parliamo della necessità da parte dei grossi network di preservare la percezione di autorevolezza che si sono impegnati a creare nei confronti dei propri spettatori, lettori o ascoltatori. Stiamo parlando di giornalismo e non di pubblicità, dove la qualità finale del prodotto visivo non è l’aspetto più importante da considerare, ma la sua veridicità non artificiale.

Sorgente: Perché è giusto che Reuters elimini i file Raw – Wired

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