Make Art Not Money! Quando le opere d’arte diventano paradisi fiscali

di Pablo Echaurren

Il 10 novembre 2015 papa Bergoglio in sostanza ha detto: “Che Dio protegga la Chiesa dal denaro”. Aggiungiamo noi: che Dio protegga l’arte dal denaro.

Di fronte alle cifre vertiginose che stanno raggiungendo le opere d’arte moderna e contemporanea non si può più non chiedersi se dietro tutto ciò non si celi qualcosa d’altro. I risultati d’asta autorizzano a pensare che il mercato dell’arte sia ormai il prodotto di un meccanismo impazzito o pilotato, che la crescita esponenziale e ingiustificata di artisti anche viventi ruoti attorno ad una sorta di buco nero finanziario in cui è possibile far lievitare e trasferire valori senza alcuna possibilità di verificarne l’entità, la provenienza, la trasparenza. Se negli anni Ottanta l’exploit del mercato aveva incoronato con cifre da capogiro i maestri dell’Impressionismo, oggi non è più così o meglio non è più solo così. Ora le super valutazioni astronomiche sono appannaggio anche degli arti-star contemporanei. I 58 milioni di dollari per Koons o i 37 milioni per Gerhard Richter giustificano qualche dubbio sulla fondatezza di tali valutazioni.

Ma il problema che si pone in generale è anche un altro. Cosa si nasconde nel mondo dorato e gonfiato dell’arte? Interessi illeciti, riciclaggio, criminalità? Alcuni esempi inquietanti sono solo la punta di un iceberg che forse non verrà mai esplorato: il mega art dealer Hillel Nahmad, oltre ad una consistente multa pecuniaria, si è fatto un annetto di galera per riciclaggio (rischiava circa 100 anni), mentre all’aeroporto Kennedy di New York, in una cassa proveniente da Londra, che avrebbe dovuto contenere un quadro dal valore dichiarato di 100 dollari, è stato trovato un Basquiat valutato 8 milioni di dollari.

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