Passioni antiche: 300 anni di Winckelmann ai Musei Capitolini
FRANCESCA GREGO
“Vivo come un artista e come tale sono accolto nei luoghi dove ai giovani è permesso di studiare, come nel Campidoglio. Qui è il tesoro delle antichità di Roma e qui ci si può trattenere in tutta libertà dalla mattina alla sera”.
Ad accoglierlo, la ricca collezione del primo museo pubblico d’Europa, i Musei Capitolini istituiti 22 anni prima da papa Clemente XII.
A 300 anni dalla nascita e a 250 dalla morte del grande studioso, Il Tesoro di Antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento celebra un appassionato sodalizio destinato a lasciare il segno.
Negli anni successivi, quello studioso di modeste origini avrebbe analizzato a fondo il patrimonio antico della città, rivoluzionando idee consolidate da secoli e dando il via a due trend epocali: la febbre degli scavi archeologici e l’estetica neoclassica, che pervase la cultura del XVIII secolo dalla letteratura alle arti visive.
“Novello Colombo”, lo definì Johann Wolfgang Goethe, in quanto “scopritore di una terra a lungo presagita, menzionata e discussa, e, lo si può ben dire, un tempo conosciuta e poi nuovamente perduta”.
“Winkelmann è il primo – scriveva nel 1796 Quatrémere de Quincy – che classificando le epoche abbia avvicinato la storia ai monumenti e confrontato i monumenti tra loro, abbia scoperto delle caratteristiche sicure, dei principi critici e un metodo che, rettificando una moltitudine di errori, ha preparato la scoperta di una moltitudine di verità”.
L’era dell’archeologia scientifica era iniziata: il territorio di Roma divenne un giacimento di tesori antichi da scoprire, studiare e collezionare.
Una storia affascinante, raccontata ai Musei Capitolini da una mostra imponente divisa in cinque sezioni e distribuita tra i prestigiosi spazi espositivi di Palazzo Caffarelli, le Stanze Terrene di Sinistra e le Sale del Palazzo Nuovo.
Oltre 120 opere, tra sculture, incisioni, dipinti, disegni, preziosi volumi e documenti originali, ripercorrono la storia dei Musei e ricordano il passaggio del celebre archeologo, evidenziando il suo contributo allo studio dell’arte antica.
Dopo quasi 300 anni tornano a Roma le sculture classiche delle Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, un tempo esposte nel Palazzo Albani alle Quattro Fontane, per incontrare le “sorelle” rimaste in Italia, ma anche i disegni a sanguigna di Hubert Robert, realizzati nell’Urbe settecentesca e poi divisi tra il Getty Museum di Los Angeles e i musei di Valence e Valencienne, i ritratti di Pompeo Batoni , le statue egizie amate da papa Benedetto XIV e un magnifico tripode in marmo di Villa d’Este, dal 1797 nelle collezioni del Louvre.
E naturalmente l’immenso patrimonio dei Musei Capitolini che, sorprendentemente, hanno conservato l’impostazione settecentesca per quasi 300 anni.
Rari allestimenti originali e architetture perdute rivivono attraverso installazioni 3D e ricostruzioni dal vero, che riportano al Campidoglio pregevoli opere disposte secondo le indicazioni delle guide del XVIII secolo e di antiche testimonianze grafiche.
Per finire con una full immersion nel lavoro di Winckelmann, dalla rivoluzionaria Storia dell’Arte nell’Antichità a 30 sculture antiche rilette attraverso gli occhi dello studioso tedesco, alla scoperta delle sue geniali intuizioni.
Curata da Eloisa Dodero e Claudio Parisi Presicce, la mostra Il Tesoro di Antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento si inserisce nel contesto delle manifestazioni europee coordinate Winckelmann Gesellschaft di Stendal, dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma e dai Musei Vaticani in occasione dell’anniversario della nascita e della morte del grande archeologo.
Sarà in programma ai Musei Capitolini fino al 22 aprile 2018.
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